Introduzione al trust

Il trust è spesso citato nell ‘ambiente economico inglese o americano, o anche solo con amici di quei Paesi. Frequentemente, inoltre, i trust compaiono sulla stampa quotidiana (i casi più recenti sono quelli del trust per la gestione delle obbligazioni “Cirio” e del blind trust costituito da Mario Draghi, all’indomani della sua nuova nomina a Governatore di Bankitalia) e pure nei rotocalchi (il trust di Onassis, con le tante liti che ha originato). Grandi musei appartengono a trust, l’intero patrimonio dei Rockfeller è in trust, ma anche la massaia americana spesso dispone delle proprie sostanze per mezzo di un trust, che ella può predisporre da sola seguendo le indicazioni che le fornisce un cd comprato su Amazon con qualche decina di dollari.

La società anglosassone, dunque, fa grande utilizzo di questo istituto. Ma quale è il motivo? E se il trust funziona così bene oltreoceano e oltremanica perché da noi se ne è fatto a meno fino a poco tempo fa? E perché, viceversa, adesso se ne parla tanto?

La ragione è l’estrema versatilità dell’utilizzo di questo istituto giuridico e la sua vocazione ad essere utilizzato con efficienza di risultati in una pluralità di occasioni: i trust permettono ad un soggetto (detto settlor o disponente) di affidare la proprietà e la gestione di un dato bene ad un dato altro soggetto (detto trustee) perchè, nell’interesse di coloro che il settlor indica come suoi beneficiari, il trustee ne faccia un determinato utilizzo; i trust, pertanto, sono “strutture aperte”, nelle quali ciascuno cala il contenuto che desidera, ovviamente rispettando i principi di base, che sono pochi e chiari.

Il motivo del successo che il trust ha ottenuto nel nostro Paese risiede dunque nella considerazione che il trust non è tanto una fra le possibili varie tecniche di pianificazione successoria o fiscale (e tanto meno è un modo per gabbare creditori, fisco e parenti), ma è uno strumento che consente di tutelare una serie di interessi, lasciati in secondo piano dall’invecchiamento delle nostre categorie giuridiche.

Si pensi a un semplice esempio, a chiunque comprensibile: tutti i giorni accade che qualcuno depositi somme presso un professionista (immaginiamo, mediante la consegna di un assegno bancario), il quale evidentemente colloca nel proprio conto corrente bancario il denaro ricevuto in attesa di farne l’utilizzo convenuto con il depositante/cliente: si può trattare del deposito di una caparra confirmatoria che, per ragioni di reciproca tutela, viene appunto lasciata nella disponibilità di un soggetto terzo rispetto ai contraenti.

Si può trattare di un deposito a garanzia (si immagini il caso del pagamento del prezzo di una compravendita di azienda, da cui scomputare imparzialmente il valore delle rimanenze di magazzino che emergerà da un apposito inventario); si può trattare della provvista di un versamento che il professionista deve fare per conto del cliente a titolo di imposte dovute o di somma da corrispondere a una controparte; eccetera.

Ebbene, quelle somme, una volta nella disponibilità del professionista depositario, entrano a far parte del suo patrimonio “generale” e con esso si “confondono”. Di modo che, se malauguratamente quel professionista viene fatto oggetto di procedure di sequestro o pignoramento, anche le somme presso di lui depositate vanno a soddisfare le pretese dei suoi creditori, ai quali non può essere eccepito che si trattava di somme non di titolarità del professionista in questione ma di somme presso il medesimo “solamente” depositate al fine dello svolgimento di un dato incarico da parte sua.

Si tratta, come chiunque può rilevare, di un’evidente situazione di svantaggio del cliente del professionista, il quale non trova rimedi negli strumenti tradizionali che il nostro ordinamento offre.

Se invece si ricorre al trust, si sfrutta l’effetto “segregativo” che il trust produce nel patrimonio di chi riceve quelle somme: il cliente/depositante diventa il “disponente” (o settlor) del trust, il professionista/depositario ne diviene il trustee, le somme che questi riceve non vanno a confondersi con il restante suo patrimonio, le cui vicende non influenzano dunque la sorte delle somme depositate, le quali debbono essere utilizzate dal trustee, sotto sua personale responsabilità, a seconda dello scopo per il quale esse sono state depositate.

In particolare quelle somme non hanno nulla a che fare con il regime coniugale in cui il trustee si trovi, non subiscono alcuna conseguenza nel caso di sua morte, non sono aggredibili dai suoi creditori, non vanno a far parte del fallimento in cui il trustee eventualmente incappi per sue disavventure imprenditoriali.

Questo è però solo un piccolo esempio dell’infinita varietà di casi nei quali il trust può essere efficacemente utilizzato nel nostro ordinamento: e questi casi tanto più sono numerosi e variegati, quanto più spiccate sono la fantasia e la abilità dei professionisti che sono chiamati ad agire in questo ambito.

Si può avere il caso delle azioni di una holding di controllo di un gruppo societario affidate a un trustee per gestire una successione generazionale o una ristrutturazione industriale; oppure il caso del trust di una abitazione o di altri immobili che un genitore intenda destinare a determinati familiari (sempre tenendo in conto però che non si possono con il trust violare le regole della legittima e cioè della parte di eredità che necessariamente spetta a certi stretti familiari: coniuge e figli in primis) ovvero al sostegno di un disabile.

Ancora, di recente, per agevolare il buon esito di una procedura di concordato preventivo, è stato istituito un trust mediante il quale determinati soggetti (familiari dell’imprenditore in crisi) hanno messo a disposizione della procedura alcuni beni immobili, in modo che, con il ricavato della loro vendita, si incrementasse il margine di soddisfazione.

A cosa serve il trust

La fase del pionierismo è ormai alle spalle e oggi si può, a buon titolo, sostenere che il trust fa stabilmente parte dello strumentario quotidiano di un buon numero di professionisti italiani.

Perché questo utilizzo sempre più diffuso del trust? Ci sono indubbiamente alcuni casi “patologici”: ad esempio, c’è ancora chi abbocca all’amo di qualche improvvisato consulente, magari trovato in internet o proveniente da Paesi che legittimano l’occultamento dei patrimoni e la creazione di strutture giuridiche artificiose, credendo che il trust sia un sofisticato escamotage per dribblare le regole ereditarie o per sfuggire ai creditori, il fisco in primis.

Il trust in dieci semplici passaggi

1) Il disponente (settlor) istituisce il trust indicando lo scopo da perseguire con riguardo ai beni che sono destinati all’attuazione del trust

2) Il disponente nomina il trustee (che può essere una persona fisica o una persona giuridica), indicandogli quali sono gli scopi che nella sua attività egli deve perseguire in riferimento ai beni immessi nel trust

3) Il disponente nomina i beneficiari del trust: si tratta dei soggetti che, a seconda dei casi, beneficiano dei redditi del trust oppure dei soggetti che ottengono la devoluzione dei beni in trust quando il trust cesserà

4) Il disponente può anche non individuare nominativamente i beneficiari, ma può limitarsi a dettare regole per la loro individuazione e indicare i soggetti che dovranno effettuare la nomina

5) Il disponente di solito designa anche un protector o guardiano, con il compito di sorvegliare il comportamento del trustee, di autorizzarne gli atti più rilevanti e di concorrere alle scelte che egli deve compiere

6) Il disponente trasferisce al trustee i beni che questi deve destinare all’utilizzo indicato dal disponente: si può trattare di immobili, denaro, strumenti finanziari, partecipazioni, opere d’arte, gioielli, collezioni e altri beni mobili

7) Il trustee diventa proprietario dei beni vincolati al trust (e quindi il disponente perde la proprietà dei beni affidati al trustee)

8) Con il trasferimento dei suoi beni al trustee, il disponente rende quei beni estranei alle pretese dei suoi creditori personali (a meno che costoro possano esercitare l’azione revocatoria con riferimento all’atto di dotazione del trust)

9) L’atto istitutivo del trust non deve contenere previsioni di revocabilità o indici dai quali si possa desumere che il trustee è in effetti un fiduciario, poiché in tal caso non c’è l’effetto segregativo e i beni del trust vanno considerati come appartenenti al disponente

10) I beni del trust rimangono separati dal restante patrimonio personale del trustee: non rispondono dei debiti personali del trustee, se il trustee muore non entrano nella sua successione ereditaria, se il trustee è coniugato non fanno parte della comunione legale dei beni con il suo coniuge.

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Lasciando però da parte i casi di banditismo, alla domanda si può rispondere dicendo anzitutto cos’è il trust: il trust è la situazione giuridica che si verifica in ogni caso in cui un soggetto (indicato come “disponente”, traduzione del termine inglese “settlor”) trasferisce la proprietà di determinati suoi beni a un altro soggetto (detto “trustee”: questo termine non si traduce) affinchè questi raggiunga un certo scopo, indicato dal disponente, mediante lo svolgimento di un’attività, giuridica o materiale, inerente i beni affidatigli.

Ad esempio: il genitore anziano di un figlio disabile può affidare un determinato patrimonio al trustee affinchè il reddito di questi beni sia destinato al pagamento delle spese di assistenza, cura, svago e istruzione del figlio.

I casi concreti della vita sono comunque innumerevoli e quindi il trust può essere utile appunto ogni qualvolta un certo scopo, che un dato soggetto voglia perseguire con riguardo a determinati beni (immobili, partecipazioni, denaro, strumenti finanziari), sia raggiungibile solo (o sia meglio raggiungibile mediante) l’affidamento di questi beni a un soggetto diverso (il trustee, appunto) da colui che matura il desiderio di realizzare quello scopo.

Per questo motivo, il trust è utile non solo per risolvere problemi personali o familiari, in quanto anche le esigenze degli imprenditori possono trovare soluzione con il trust: ad esempio, anzitutto, per cercare di organizzare un efficiente passaggio generazionale dell’azienda e, più in generale, del patrimonio dell’imprenditore; inoltre, per impedire che l’azienda di famiglia finisca sotto il controllo di un figlio che, purtroppo, abbia avuto vicende di vita (un matrimonio “sbagliato”, l’abuso di sostanze tossiche o, più semplicemente, la propensione a dilapidare e a vivere spensieratamente).

Ancora, per agevolare l’imprenditore nell’esplicazione della concreta sua attività, come può essere per i trust deputati a gestire patti di sindacato, quelli istituiti a garanzia di pagamenti o di cauzioni oppure finalizzati a supportare il buon esito di procedure concorsuali, eccetera.

Prima di scendere nei dettagli occorre però sottolineare, con vigore, un paio di fondamentali considerazioni.

Anzitutto, se è vero che il trust è di ormai ampia utilizzazione, è pur anche vero che si tratta comunque di una questione assai complicata: e quindi la regola secondo cui qualsiasi questione professionale non può essere affrontata con superficialità o dilettantismo vale, a maggior ragione, quando si tratta di istituire un trust e di predisporne la regolamentazione.

L’altra essenziale avvertenza è che, come già detto, il trust è fortemente caratterizzato dal fatto che il trustee diventa effettivo proprietario dei beni affidatigli dal disponente e dal fatto che è il trustee a dover attuare il programma che il disponente gli ha indicato.

Da ciò deriva che potrebbe anche non aversi un trust qualora siano stabilite regole che permettano al disponente di smontare la struttura a suo piacimento oppure qualora egli conservi sui beni del trust un insieme di poteri tali da ridurre il trustee al ruolo di mero esecutore materiale o di prestanome; anche la qualità del trustee non è irrilevante perché, se in alcuni casi è “normale” che il trustee sia uno stretto familiare del disponente o dei beneficiari, in molti casi la “tenuta” del trust è fortemente correlata alla indipendenza del trustee rispetto agli altri soggetti del trust e dal fatto che il trustee abbia caratteristiche di soggetto professionale, dotato di autonomia di giudizio.

In altri termini, dalla non indipendenza del trustee o dalla invasività del disponente potrebbe derivarsi che è stato istituito non un trust ma un “semplice” rapporto di mandato: con la conseguenza che i beni del trust, seppur intestati al trustee, ancora in effetti appartengono al disponente e con la conseguenza quindi che i creditori del disponente possono aggredire i beni del trust per soddisfare le loro ragioni, ciò che invece non accade se il trust è “vero” e se i beni in questione sono effettivamente e indiscutibilmente di proprietà del trustee.